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Memo: “Tarolli deve credere in se stesso”

Il suo nome rappresentava l’inizio di una filastrocca che i ragazzini di allora, ovvero gli adulti di oggi, recitavano e recitano ancora a memoria: Memo, Colla, Sali, Pirazzini, Bruschini…ecc.

La nostra redazione oggi incontra appunto Maurizio Memo, portiere che negli anni 70 difendeva la porta del Foggia. Con la squadra rossonera collezionò 97 presenze, 60 in A e 37 in B dal 1975 al 1978.

Possiamo dire che Foggia rappresenta una tappa importante della tua carriera di calciatore?

Senza ombra di dubbio. Foggia tra l’altro è importante per me anche per altri motivi: lì sono nati i miei figli e lì ho stretto amicizie importanti. Poi spesso ci torno e mi incontro con i miei compagni di squadra; con loro mi sento spesso anche al telefono e parliamo del Foggia. Inoltre, grazie alla comune militanza nella squadra rossonera, ho stretto i rapporti con Fabio Enzo e con Raffaele Trentini che abita a 50 km da casa mia.

Si parla in questi giorni del tifo dello Zaccheria. Anche ai tuoi tempi rappresentava il dodicesimo uomo in campo?

Io ricordo che nel nostro stadio ci sentivamo dei leoni. Anche quando giocavamo in serie A con le grandi, già da quello che ci dicevamo nel sottopassaggio, loro sapevano che sarebbe stata dura passare. Poi con Juve, Milan, Inter perdevi ma in quel clima per loro non era facile. Poi, però, con squadre come Roma, Lazio, Pescara riuscivamo a dettare legge. Mi sto meravigliando del Foggia di quest’anno che magari ha fatto diversi punti in trasferta ma che proprio in casa, con quel pubblico, non riesce a vincere. Per noi era tutto diverso.

Il ruolo del portiere in cosa  è cambiato?

Per me il portiere sta in porta per parare. C’è stata certo una rivoluzione nel calcio che è partita da Zeman che faceva giocare Mancini da difensore aggiunto. Lui ci riusciva bene e alle volte sopperiva anche al fatto che non era un gigante. Ai nostri tempi non c’era nessuno che ti diceva di fare la “bisettrice”, che dovevi uscire così, che dovevi piazzarti in quel modo particolare. Imparavamo da soli e ci affidavamo al nostro istinto. Io ricordo che a Foggia mi allenavo prima con la squadra, poi il povero Vittorio Nocera mi bombardava di tiri ed io in quei momenti cercavo di far venir fuori il meglio di me.

Cosa ti senti di dire, da portiere che hai giocato in serie A, a Stefano Tarolli che da un giorno all’altro si è trovato a difendere quella porta che ti ha visto tante volte protagonista?

Deve saper sfruttare al meglio l’occasione che gli è capitata. Deve continuare a seguire la voglia che si ha dentro quando hai 20 anni. La vita nel calcio può cambiare anche per singoli episodi. Io quando avevo 17 anni guardavo San Siro e pensavo che non ci sarei mai entrato. Invece poi quando ci entri per davvero non pensi più a niente, sai che devi dare tutto quello che hai dentro, che non devi mai smettere di credere nel tuo lavoro. Se vuoi crescere devi pensare sempre che puoi migliorare senza dar peso al look, al taglio dei capelli o ai tatuaggi. Devi credere soprattutto in te stesso.

Prima di salutarci, Maurizio Memo ci tiene ad inviare un messaggio ai tifosi del Foggia:

Approfitto della opportunità che mi ha dato solofoggia.it per fare gli auguri di buone feste a tutti gli sportivi rossoneri. State vicini alla vostra squadra, io vi seguo e sono certo che ne verrete fuori alla grande

 

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Redazione Solofoggia.it

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