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Diamo un calcio al razzismo!

di Rosario De Rosa

Ancora una volta ci troviamo a constatare che la mamma dei cretini è sempre incinta: durante Verona-Brescia, l’attaccante degli scaligeri Marco Balotelli ha sentito alcuni ululati razzisti rivolti contro di lui e ha scagliato la sfera in tribuna, minacciando di uscire dal campo. Ondata di supporto per il bomber, ma c’è ancora chi minimizza: quante altre «pallonate» serviranno prima di una reale inversione di rotta?
Era il 3 gennaio 2013 quando Kevin Boateng, durante una partita amichevole tra Milan e Pro Patria, afferrò il pallone tra le mani e lo scaraventò con un calcio verso un gruppo di tifosi che gli stavano rivolgendo ululati razzisti. Quasi sette anni dopo, domenica scorsa, in Verona-Brescia, l’episodio si è ripetuto.
I colpevoli sono della curva del Verona, la solita curva dell’Hellas, quella nota per le sue simpatie di destra, che a metà anni Novanta appendeva un manichino nero impiccato dagli spalti per protestare contro l’acquisto dell’olandese Ferrier e un paio di decenni dopo ancora non perde occasione di fare cori e ululati contro gli avversari di colore.
«Basta, così io non gioco più», sembra dire l’attaccante azzurro mentre cerca di abbandonare il campo. I compagni lo abbracciano, lo fermano, anche i giocatori del Verona si schierano con lui, mentre l’arbitro Mariani interrompe il match e lo speaker dello stadio annuncia il rischio di sconfitta a tavolino per la squadra di casa se certi comportamenti dovessero ripetersi. La partita riprende, ma dopo il fischio finale ne incomincia una nuova.
Da una parte il blocco Balotelli, formato da chi condanna il gesto senza se e senza ma, dall’altra il partito di chi nega o sminuisce il fatto: «Non ho sentito, sono ragazzi, cerchiamo di sdrammatizzare, …» di sindaco, vescovo, allenatore, presidente…
Quindi che fare? L’articolo 28 del codice di giustizia sportiva ritiene le società «responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione». Come a voler misurare la gravità del fatto con i decibel e con il numero degli urlatori!
Certo, sarebbe altrettanto sbagliato catalogare come razzista una tifoseria – o ancor peggio una città intera – per colpa di una manciata di persone; ma il razzismo è razzismo, o due o mille sugli spalti è la stessa cosa, se sono già due già sono troppi.
A Verona (che poi il loro patrono, San Zeno, era un vescovo di colore proveniente dalla Mauritania), a Milano, a Messina servono decisioni serie, dure, per tutti: squalifica del campo, multe, provvedimenti del Palazzo che servano da esempio e monito.
Occorre ripulire le curve da questi soggetti, occorrono telecamere, occorre vigilanza: occorre un po’ più di civiltà, chiamiamola così, che nessuna pallonata potrebbe inventare.
Ma soprattutto occorre riprendere ad educare i nostri figli al rispetto dell’altro, alla diversità,  all’accoglienza; vivere le partite di calcio come in effetti devono essere: un gioco, e quindi divertirsi, stare bene, un’occasione di crescita; occorre piantare valori nelle case, negli oratori, nelle scuole e quindi di riflesso negli stadi.
In settimana arriverà la decisione del giudice sportivo, in Italia se ne parlerà a lungo, con le solite condanne. Ma la vera domanda è: sarebbe stato lo stesso se lui non si fosse fermato, minacciando di uscire dal campo, e non avesse tirato quella pallonata in curva?
Di Verona non ci dimenticheremo, grazie a Balotelli e alla sua pallonata. Come non dimentichiamo, purtroppo, l’episodio di Kiulibaly l’anno scorso in Inter-Napoli, con annessa sua espulsione.
Per scuoterci dalla ordinarietà del razzismo nel pallone abbiamo bisogno di gesti plateali, che non tutti hanno il coraggio, la personalità o le s-palle abbastanza larghe per fare.
Io sto con Balotelli, io sto con il calcio pulito,  bello, che riunisce e che è ancora gonfio di sorrisi, amicizia, valori, rispetto. Il pallone di Verona è sgonfio, a me non piace più.

Rosario De Rosa

Redazione Solofoggia.it

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