di Michele Caggiano
Sette gennaio 1990, diciannovesima ed ultima giornata del girone di andata. Il Foggia pareggia la gara casalinga contro la Reggiana con uno scialbo 0-0 post-natalizio. Alla fine del girone, i rossoneri sono riusciti a racimolare 14 punti in 19 gare, frutto di 5 vittorie, 4 pareggi e ben 10 sconfitte. La conseguenza è il penultimo posto in classifica in coabitazione con i “cugini” del Barletta e solo due punti sopra il duetto fanalino di coda composto dal Como del brasiliano Milton, retrocesso nella stagione precedente dal massimo campionato, e il Catanzaro. Ad appesantire il morale della piazza le sconfitte subite contro i rivali del Barletta, del Pescara e dell’Avellino, quest’ultima addirittura in casa, con gli irpini artefici di una clamorosa rimonta. Il gioco si vede a sprazzi, la squadra evidenzia lacune caratteriali alternando prestazioni esaltanti a sonore cadute, fatica ad adattarsi alla categoria. Molti foggiani sono in ansia. La B attesa da tempo sta sfuggendo di mano.
Erano altri tempi. La vittoria valeva 2 punti, il calcio vincente era ancora quello di Trapattoni e Caramanno, cominciava ad affermarsi il Milan di Sacchi. E sul calcio champagne, il duo Casillo-Pavone decise di puntare forte per affrontare la serie B affidando la squadra al figliol prodigo Zeman, scegliendo l’estetica del calcio in totale antitesi a quel modo di intendere il football che aveva riportato la città nel calcio che conta.
Quindici dicembre 2017, ancora una diciannovesima giornata. Sono passati quasi trent’anni. In mezzo, i tre punti, la pay tv, la divinizzazione dei giocatori, il calciomercato folle, la serie B a 22 squadre. Il tifoso foggiano ha trascorso la maggior parte di questi anni a sognare di tornare in quella categoria che sente sua quasi per diritto. Ha sofferto, tanto. Ma finalmente ha visto la luce. E alla vigilia della diciannovesima giornata il suo Foggia è penultimo, anche questa volta in coabitazione, e con soli tre punti di vantaggio sull’Ascoli. Pesano come un macigno le sconfitte contro le storiche rivali: il Bari (biancorosso come il Barletta), il Pescara, l’Avellino. Il gioco si vede a sprazzi, la squadra evidenzia lacune caratteriali alternando prestazioni esaltanti a sonore cadute, fatica ad adattarsi alla categoria. Molti foggiani sono in ansia. La B attesa da tempo sta sfuggendo di mano.
I tempi sono cambiati. Il calcio champagne è diventato un must: non puoi vincere senza dare spettacolo! Sul bel calcio hanno scommesso anche gli attuali patron del Foggia, i fratelli Sannella. Prima De Zerbi a reinventare l’iberico tiqui taka in salsa dauna, poi Stroppa a completare l’opera, a fare la differenza, a riportare l’orgoglio di una città intera nel calcio che conta. Lo stesso Stroppa che cinque lustri prima, agli ordini di Zeman, aveva fatto sognare il popolo rossonero sfiorando l’accesso alla Coppa Uefa.
Oggi sembra ieri, o viceversa. Le vicende del passato si intrecciano con quelle attuali in una curiosa sequenza di cose già viste, vissute, sofferte. Oggi come ieri il tifoso foggiano segue con apprensione l’evolversi del campionato con il timore di poter perdere quella categoria tanto agognata.
Per la cronaca, quasi trent’anni fa, quella squadra che arrancava nei bassifondi della classifica inanellò nel girone di ritorno una serie di risultati utili consecutivi che la portarono a ridosso del quarto posto in classifica, ultimo disponibile per la promozione in A. Solo il Torino di Fascetti, Dino Baggio, Lentini e Marchegiani, interruppe quel sogno vincendo di misura con un gol di Fimognari in uno Zaccheria colmo di tifosi che, a quel punto, ci credevano. Quella squadra si salvò e pose le basi per quella che sarebbe diventata “leggenda” .
Oggi la storia potrebbe ripetersi. Il tifoso foggiano è pronto, come sempre, a sostenere la squadra, a mettere da parte i timori e i malumori, ad incitare fino al novantesimo. Per la squadra è il momento della verità: il tempo dei proclami è finito, le buone intenzioni devono tradursi in buone azioni. E’ il momento di fare quadrato, di puntare dritti sull’obbiettivo. Tutti insieme. La storia potrebbe ripetersi. Oggi, come allora, basta crederci.