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La colpa non è solo di uno!

La città di Foggia , ancora una volta, sale alla ribalta nazionale per episodi criminali che continuano ad infangare una comunità che sembra quasi rassegnata al malaffare e alla sopraffazione. Questa volta tocca al calcio, ma non quello praticato sul rettangolo di gioco, quello che fa appassionare, quello che esalta o deprime per un semplice risultato agonistico. A Foggia si è andato oltre. Si è attaccato un imprenditore che ha deciso di operare nello sport, un imprenditore che è venuto da fuori, un imprenditore che forse ha ostacolato altri progetti, altre mire.
Le vicende giudiziarie, che si sapeva che prima o poi avrebbero portato alle conseguenze manifestatesi lunedi mattina, potrebbero avere conseguenze preoccupanti e forse definitive sul futuro ultracentenario del club.
C’è innanzitutto da distinguere gli insuccessi sportivi, attribuibili solo ed esclusivamente ad una gestione approssimativa del club, dal clima intimidatorio nel quale si muoveva lo stesso club che, e lo risottolineo, non giustificano la gestione societaria soprattutto dell’ultima stagione.
Il percorso giudiziario che, sicuramente è all’inizio e merita regolari processi che prevedono, fino all’ultimo giudizio, la possibilità di accuse e difese garantite in uno Stato di diritto, non devono far dimenticare quello che si è vissuto negli ultimi anni intorno al mondo che gira intorno ad un pallone. Delle intimidazioni al presidente Canonico, a suo figlio, ai dipendenti si è scritto abbondantemente ma penso che vadano sottolineate altre componenti che forse sono state meno attenzionate, gli Ultras e la stampa locale.
Per quel che riguarda il tifo organizzato sembra che rappresenti più la parte lesa che una parte attiva negli episodi evidenziati nei fatti enunciati. Indicare gli Ultras come coinvolti in determinate azioni illegali nei confronti delle società, è uno sport molto praticato in Italia ma, spulciando tra le carte, non si intravede alcuna irregolarità nel loro compartamento se non quella di aver visuuto ed operato con la preoccupazione per le sorti della loro squadra. Se vogkia o dirla tutta, in questi anni sono stati accusati, anche e soprattutto dallo spietato mondo virtuale, di non essere abbastanza critici nei confronti della stessa società.
Per quel che riguarda la stampa, in questi anni, è stata oggetto di tantissime ingiurie rafforzate da chi, sui social, applaudiva a determinate esternazioni. In questi anni, se un giornalista si fosse anche solo permesso di scrivere o dire che la squadra giocava bene, era considerato un “lecchino della società” o semplicente un venduto, mentre probabilmente bisognava essere dalla parte di chi voleva il cambio societario.
Il problema non si limita al fatto che c’era chi affermava determinate cose, soggetto o soggetti che verranno giudicati regolarmente dalle Autorità competenti ma tutti coloro che, dietro ad un monitor e una tastiera e spesso anonimamente, amplificavano il messaggio.
Così non solo non si può far calcio a Foggia, ma qui probabilmente si fa fatica a vivere nel rispetto civile che necessita tra cittadini, ciascuno con il ruolo che riveste in una comunità.
Ora Canonico dovrà scegliere di restare o abbandonare? Qualunque sarà la sua scelta sarà giusta e condivisibile.
A Foggia, stando così le cose, non ci sono nemmeno le condizioni per ripartire da zero e la colpa questa volta non è solo di uno.