C’era una volta il calcio nostrano, quello legato al piccolo signorotto di paese che finanziava la squadra locale che militava nei dilettanti e c’era il grande imprenditore che, seguendo la propria fede calcistica, finanziava la propria squadra in serie A.
Sicuramente era un altro calcio, meno dispendioso di quello di oggi, più legato al campanile, all’appartenenza anche territoriale, un calcio che rinnovava il suo impegno stagione dopo stagione, senza lasciar nessuno per la strada. Non c’erano squadre che non riuscivano ad iscriversi, non esistevano ricorsi e ripescaggi. Il tutto era regolato esclusivamente alle vicende che si svolgevano sul campo di gioco. Quel calcio ha fatto innamorare generazioni di italiani, italiani che hanno tramandato la passione di padre in figlio.
Poi venne il calcio dei cinesi, delle holding, dei grandi gruppi quotati in borsa per cui pian piano si è persa quella appartenenza, quella territorialita, anche il calcio inghiottito dalla globalizzazione.
A Bari si riparte dalla serie D con l’intervento di un “forestiero”, uno di quelli che potrà investire e anche tanto per la risalita dei biancorossi ma forse sarebbe stato meglio che il Bari fosse andato ai baresi…o forse no…chissà.
A Foggia nel 2012 non ci furono 11 proposte come quelle sul tavolo del sindaco di Bari Di Caro, forse non ce n’era nemmeno una importante ma la somma di tante piccole e timide possibilità. Queste furono messe insieme e si partì con un progetto legato alla foggianità, povero ma genuino, sicuramente molto suggestivo e con quel sangue nelle vene sicuramente rossonero.
Auguriamo al Bari che l’incubo possa finire, che possa ritornare dove legittimamente merita di stare ma ci sarebbe piaciuto scrivere un’altra storia a noi che in fondo siamo sempre stati legati ad Alberto Sordi e al suo Borgorosso Football Club.